Tra Storia e Rievocazione
Dal 1978 il Centro Sportivo Italiano organizza il Palio di Parma riscoperto in quegli anni da Don Enrico Dall’Olio nel corso delle sue ricerche per la stesura del libro Sagre Mercati e fiere di Parma e provincia pubblicato nel 1979 dall’Arte grafica Silva, cui hanno fatto seguito alcuni miei contributi come responsabile storico del palio.
Se al momento della prima riproposizione il Palio era considerato una manifestazione folkloristica, nel corso del tempo, di pari passo con il crescente interesse per la storia soprattutto non accademica, le manifestazioni di questo tipo sono aumentate e attorno a loro si è sviluppata anche una preziosa riflessione teorica che stimola gli organizzatori a promuovere, attraverso questo tipo di eventi, la conoscenza storica e la cultura locale.
L’esposizione seguirà prevalentemente l’ordine cronologico come vuole la storia, senza tuttavia escludere l’ordine logico, cioè per argomenti simili, onde evitare ripetizioni.
Parole-chiave:
❖ Drappo prezioso, dipinto assegnato come premio al vincitore di una gara;
❖La gara nella quale viene offerto come premio;
❖La festività religiosa nella quale si svolge la manifestazione. Questo aspetto è particolarmente importante perché nel periodo storico che a noi interessa, la commistione tra la vita religiosa e la vita civile era molto forte: si faceva tutto in nome di Dio;
❖Il periodo storico di riferimento.
Una rievocazione presenta un 50% di spettacolo ed un 50% di storicità.
La spettacolarità della manifestazione consiste nel corteo, nella benedizione del Drappo, nell’esibizione degli sbandieratori, di musici e cantori, nella rievocazione ricostruttiva di aspetti quotidiani della vita medievale (combattimenti, gare con l’arco storico, villaggio medievale…).
La storicità del Palio di Parma è stata individuata partendo dalla consultazione delle fonti, in particolare del Chronicon Parmense, degli Statuti cittadini, dell’Ordinarium Ecclesiae Parmensis, delle gride e degli studi sulla storia della città. I risultati della ricerca sono di seguito presentati in un excursus che va dalla menzione della manifestazione nel Chronicon sotto l’anno1314 agli albori dell’Età moderna e toccano aspetti della vita politica e dell’evoluzione urbanistica cittadina (l’espansione dedlà dal’àcua, le porte…).
“INFORMAZIONE”, 24 settembre 2008, pagina a cura di Valentina Vida, titolo del taglio basso: “Originario dello stesso paese di Antonio Allegri il signore che ideò il pallium per la fidanzata”. Si tratta di una imprecisione storica: è infatti Ghiberto da Correggio ad approfittare della festa, molto amata e frequentata dai parmigiani, per solennizzare, al cospetto del populus e dei magnati parmensi convenuti numerosi alla corsa, la pace appena conclusa con la fazione dei Rossi e fidanzarsi con Maddalena, figlia dell’antico nemico.
Ghiberto da Correggio
Il fidanzamento con Maddalena Rossi è il canto del cigno di Ghiberto. Il suo dominio su Parma è ormai prossimo alla fine: a procurarne la caduta nel luglio1316 saranno proprio il genero Gianquirico Sanvitale e i cognati Rolando Rossi, Paolo Aldighieri, Bonaccorso Ruggeri. Rifugiatosi a Castelnuovo, nonostante i numerosi tentativi, non riuscirà più a rientrare in città. A Castelnuovo morirà nel luglio del 1321. Il dominio di Ghiberto su Parma dura dal 1303 al 1316, con una breve interruzione nel 1308, così da permetterne due periodizzazioni: 1303-1308 e 1309-1316.
Le note che seguono toccano la biografia del da Correggio e illustrano alcuni aspetti della sua condotta politica.
1303-1308
Di Ghiberto, contemporaneo di Dante, si ignora la data di nascita; il Chronicon Regiense lo ricorda il 1° maggio 1301 quando, al seguito di Ugolino Rossi, si reca a Reggio per sposare una figlia di Gerardo da Camino, signore di Treviso, guelfo poi passato sotto le insegne di Arrigo VII. Ghiberto è al secondo matrimonio, poiché si ha notizia, non datata, di sue nozze con una Malaspina sorella di Francesco (Franceschino), noto per aver generosamente ospitato Dante. Da questo matrimonio nascono Simone e forse le figlie maritate nel 1307.
Ghiberto si affaccia in quegli anni alla vita politica, dunque doveva aver raggiunto almeno i trenta anni, età necessaria per l’accesso alle cariche.
Nel 1295 la fazione guelfa popolare, guidata da Guido da Correggio, padre di Ghiberto, e da Ugolino Rossi, seguiti dal vessillifero di Santa Maria, protettrice della città, aveva cacciato il vescovo Obizzo Sanvitale e la parte guelfa nobilesca, perché sospettato di voler sottomettere la città ad Azzo d’Este. Seguono due anni di scontri tra Comune di Parma e fuoriusciti, finché nel 1297 si stabilisce una tregua, non particolarmente generosa nei confronti della pars Episcopi perciò non pienamente accettata dai Sanvitale e dai loro sostenitori. Nel 1299 muore Guido da Correggio: l’evento restituisce speranze ai guelfi estrinseci i quali riprendono a saccheggiare i dintorni di Parma. In città la prospettiva di una nuova guerra getta nello sgomento i membri delle corporazioni di arti e mestieri che, per prosperare economicamente, avevano bisogno di dedicarsi alle loro attività, senza esserne distratti dal servizio militare obbligatorio, ancorché da prestare a rotazione secondo le porte di appartenenza. Sui contribuenti gravavano inoltre le imposizioni straordinarie necessarie per retribuire i mercenari arruolati nell’esercito comunale. A Piacenza le città della Lombardia stabiliscono di riammettere tutta la parte guelfa bandita. La maggioranza della popolazione di Parma è altrettanto favorevole alla pace; tra i cittadini si fa strada l’idea di accogliere anche ghibellini ed altri fuoriusciti, solo i Rossi si mantengono contrari ad ogni proposta di pacificazione. Nel 1303, mentre il Consiglio delibera il rientro di soli trentatré partigiani del Vescovo, Ghiberto sostiene apertamente che per assicurare una pace duratura è necessario consentire il rientro in città a tutti gli esponenti della pars Episcopi. La proposta, in aperto contrasto con la politica del padre e dei Rossi, è accolta. Il perdono riguarderà anche i condannati per reati penali (malefizio): alla fine il numero dei riammessi salirà a trecento.
Ghiberto viene acclamato defensor sanctae pacis ecclesiae, mercadancie et artium protector et gubarnator ed investito del potere con i vessilli di Santa Maria e del Carroccio. L’abilità politica di Ghiberto gli frutta la signoria poiché, fin da i tempi di Augusto, il popolo contraccambia la pace interna con il dono del potere. In cambio della stabilità, il governo signorile sovverte il principio della temporaneità (e dell’alternanza) delle cariche.
Il successo gli aliena però i Rossi che diverranno suoi implacabili nemici. Jacopo di Guglielmino Rossi, promesso sposo di Beatrice figlia di Ghiberto, sancisce la fine delle precedenti buone relazioni ripudiando la promessa; inoltre l’interra famiglia, in segno di protesta, si ritira nei propri castelli del contado.
La città si dimostra desiderosa di pace sociale ma incapace di mantenerla stabilmente perché impossibilitata a rimuovere le cause profonde dei dissidi. Doveva fare i conti con le ambizioni delle famiglie dominanti che, pur della stessa parte, mal sopportavano le limitazioni al loro potere implicate dalla partecipazione alla gestione del Comune dei guelfi popolari, espressione delle arti e dei mestieri.
Per governare, Ghiberto ha bisogno del favore del popolo e del sostegno della pars Episcopi, che tuttavia non è sempre in grado di mantenere. La necessità di conservare il potere lo costringe a nuove alleanze e a cambiamenti di fronte.
Nel 1305 si diffondono voci di guerra: i Rossi starebbero raccogliendo armati nel castello di Segalara per muovere contro Parma. Una spia è scoperta e uccisa dai Rossi, ed il cadavere portato in città. Scoppiano tumulti, la parte popolare non può sostenere l’urto degli avversari. In seguito a tali moti, furono banditi molti della parte dei Lupi e dei Rossi, le loro case comprate da Comune e distrutte ed infine confinati cinquanta popolani di parte guelfa. Il Correggio richiama in città molti di parte ghibellina allo scopo di procurarsi nuovi sostenitori.
Intanto si scopre una congiura ordita da Rossi e Lupi per spodestare Ghiberto e consegnare la città ad Azzo d’Este. Ghiberto approfitta della circostanza per cercare di rafforzare il proprio potere stringendo nuove alleanze, per esempio guadagnandosi l’appoggio dei ghibellini appena richiamati, e liberarsi degli avversari.
Ghiberto governa la città prescindendo dagli Statuti, applicati solo per quanto riguarda le disposizioni amministrative. Inoltre non dimora nei palazzi comunali ma nel fortificato palazzo vescovile, dal quale il titolare della cattedra, Papiniano della Rovere (1300-1316), era spesso assente perché vice-cancelliere della Curia papale ma che considerava comunque un abuso la presenza di Ghiberto nelle pertinenze vescovili. Stare in un luogo diverso dai palazzi comunali, dove si esercitava istituzionalmente il potere, comporta per Ghiberto un calo dell’appoggio del Populus e dei magnati cittadini.
Il 24 marzo 1308 tra alcuni cortigiani di Ghiberto sorge una contesa; anche il signore interviene per sedarla restando lievemente ferito ad una mano. Per togliere ulteriori pretesti al riaccendersi del litigio, esce per una passeggiata a cavallo attraverso la città. Ma l’episodio scatena la tensione accumulata che presto si trasforma in tumulto e le parti si affrontano armi alla mano. La sera del 25 si combatte a Capoponte: la Pars episcopi ed i ghibellini hanno il sopravvento sui guelfi popolari. Ghiberto non prende parte agli scontri ma invia il Podestà con una scorta e alcuni dei più importanti cittadini perché convincano i tumultuanti a deporre le armi. Gli inviati parlano di pace ma sembrano al contrario soffiare sul fuoco. Nel frattempo la notizia aveva raggiunto Cremona dove si trovavano Rossi e Lupi, i quali immediatamente organizzano una spedizione per raggiungere Parma. Giunti a Viarolo apprendono della sconfitta della parte loro ma, anziché ritirarsi, con una trentina di cremonesi raggiungono la città. Superano S. Ilario arrivando a Porta Santa Croce; qui devono fermarsi.
Ghiberto, consapevole del pericolo, accorre alla porta. Sottostimando il numero degli attaccanti, ordina l’apertura di Santa Croce ma agli assalitori si aggiungono numerosi appartenenti alla corporazione dei Beccai. Si sgancia, e rientra verso la piazza inseguito dalla turba che grida pax pax, populus, populus. Il tumulto si estende a tutta la città, Ghiberto è costretto a ritirarsi a Castelnuovo. I vincitori si abbandonano al saccheggio; assaltano il palazzo comunale e il palazzo vescovile distruggendo i documenti, gli atti e i registri ivi conservati. Ristabilito l’ordine, la parte guelfa popolare, ripreso il sopravvento, si dimostra intransigente verso tutta la Pars imperii ed i guelfi tiepidi, insorgendo nel maggio al grido: moriantur ghibellini et guelphi intraversati; vivat vivat populus et pars guelpha.
Riprendono i saccheggi ma la situazione favorisce Ghiberto perché a lui ritornano coloro che l’avevano testé abbandonato e ai quali il Comune aveva affidato la difesa di castelli del contado. Convocato l’esercito generale, i parmensi muovono contro le truppe di Ghiberto. Lo scontro avviene a Enzola; i parmensi sono pesantemente sconfitti; Ghiberto ordina ai suoi di non infierire sui vinti. Tuttavia, trascurando la clemenza del vincitore, Parma, validamente difesa da Ziffredino della Torre, giunto da Milano con duecento cavalieri, non gli apre immediatamente le porte. La pace è giurata, il 28 gennaio 1309, Ghiberto potrà rientrare in città solo il 29 giugno successivo.
1309-1316
Come nel 1303, si tratta di una pace generale che riguarda tutti i fuoriusciti, compresi i condannati per malefizio, cioè per reati di carattere penale.
Si riafferma il potere comunale, il quale tuttavia non si dimostra capace imporsi alle fazioni in lotta: Podestà e Capitano del Popolo rinunciano al loro incarico senza aver preso servizio. Nell’agosto del 1309 Rossi e Lupi vengono nuovamente cacciati da Parma, come avverrà in seguito per altri accusati di essere partis Rubeorum. Questi allontanamenti rafforzano il potere di Ghiberto teso ad ottenere la pubblica conferma della sua autorità. Cercherà nel popolo, nell’Imperatore poi nel re di Napoli la sanzione legale e morale indispensabile a chi governa.
Nel 1310 Ghiberto è Podestà dei Mercanti, carica che aveva permesso al suo avo materno Ghiberto da Gente di ottenere la signoria di Parma ed esercitare il potere dal 1253 al 1259.
Formalmente Parma rimane un Comune, ma Ghiberto da Correggio ne è, anche all’esterno, considerato il signore; inoltre è celebre, e a ragione, come esperto capo militare.
Il vescovo Papiniano tenta una mediazione tra Ghiberto e i fuoriusciti i quali non accettano le condizioni di pace, accrescono i loro seguaci e minacciano la sicurezza del contado.
Sotto le bandiere dell’imperatore
Intanto Ghiberto, alla mercè delle parti, accoglie con favore in città l’ambasceria inviata dall’imperatore Arrigo VII (il veltro dantesco). Nonostante la sua fama di guelfo (peraltro molto tiepido), Ghiberto è invitato all’incoronazione dell’imperatore (Milano, 6 gennaio 1311) e in quell’occasione creato cavaliere.
All’incoronazione assistono solo due guelfi: uno è Ghiberto, l’altro Ponzone de’ Ponzoni da Cremona.
Arrigo proclama la pace generale. Ghiberto libera i carcerati; intanto l’imperatore invia un proprio vicario a Parma e dichiara Borgo San Donnino terra imperiale affidandola al vicario Tolomeo de’ Pelizzoni, fratello del vescovo Papiniano (31 gennaio 1311). Nuova insurrezione dei Rossi, che tuttavia rafforza politicamente Ghiberto (25 febbraio 1311).
L’antico concetto dei guelfi fedeli al Papa e dei ghibellini fedeli all’Imperatore è ora ormai ampiamente superato, dal momento che i più -ricorrendo ora all’uno ora all’altro- intendono prima di tutto soddisfare le proprie ambizioni di potere. Il vescovo Niccolò di Butronto nota: Guelphi essent plures quam Ghibellini et ditiores et potentiores.
L’imperatore è costretto a piegare verso i Ghibellini.
Ghiberto segue Arrigo all’assedio di Brescia (maggio 1311) e in quell’occasione dona al sovrano la corona di Federico II caduta nelle mani dei parmigiani nel 1248 dopo la conquista della città di Vittoria. Con questo gesto, Ghiberto spera di ingraziarsi ulteriormente Arrigo e di ottenere il vicariato imperiale di Parma – titolo già conferito a Matteo Visconti per Milano e a Cangrande della Scala per Verona-, conseguendo finalmente la sanzione formale al proprio potere. Ghiberto riceverà, invece, il dominio su Guastalla e il vicariato di Reggio, per lui carica poco più che onorifica che tuttavia eserciterà fino al febbraio 1312.
Capo della Lega guelfa
Privo del riconoscimento imperiale, Ghiberto, per mantenere il potere su Parma, deve controllare il Populus, che dopo il 1308 ha ripreso il sopravvento in città, contenere le mire dei magnati parmigiani sempre alla ricerca di una riscossa e, all’esterno, far fronte a Matteo Visconti e Cangrande della Scala.
Convocato da Arrigo a Pavia nel settembre 1311, Ghiberto, giunto al Po fra Tortona e Pavia, è segretamente informato che l’imperatore intende arrestarlo. Della fedeltà di Ghiberto ha sempre dubitato il vescovo di Butronto. Cessato il favore di Arrigo, Ghiberto nel novembre 1311 abbandona la Pars Imperii per riaccostarsi ai Guelfi che andavano sempre più rafforzandosi. Nel dicembre successivo -dietro compenso di 30.000 lire bolognesi – è capo della Lega guelfa.
Anche Filippone di Langosco, signore di Pavia, si ribella ad Arrigo. Ghiberto, vedovo per la seconda volta, ne sposa la figlia Elena (19 gennaio 1312), che morirà a Parma pochi mesi dopo le nozze.
Per la ribellione, Ghiberto è condannato da Arrigo ad essere privato di titoli e averi e sospeso alla forca con il genero Gianquirico Sanvitale, marito di Antonia da Correggio, sposata nel 1303, e Obizzino da Enzola. Si rafforza il Correggio; i Rossi si accostano ai ghibellini e, muovendo dalla roccaforte di Medesano, occupano la torre di Sinibaldo Fieschi a Borghetto del Taro, località non lontana dall’odierna Castelguelfo (novembre 1312).
Nel timore di non poter adeguatamente difendere la città, Ghiberto fa murare le porte, lasciandone aperte solo cinque (dicembre 1312).
Stretto da ogni parte, propone al Comune di sottomettersi al Re Roberto di Napoli (marzo 1313). La fedeltà al sovrano angioino è giurata nel maggio successivo. Imperatore, Visconti e altri capi ghibellini assediano Parma, superano il sobborgo di Sant’Ilario e raggiungono Porta Santa Croce, ma la città resiste. L’assedio è levato.
La difesa di Parma consolida la fama di condottiero di Ghiberto, re Roberto gli concede il titolo di Capitaneus regius. L’autorevolezza di Ghiberto è ulteriormente riconosciuta in patria e all’esterno. Nel frattempo Giovannino Sanvitale abbandona Ghiberto ribellando al Comune il castello di Montechiarugolo (12 agosto 1313), in seguito riconquistato.
Il 24 agosto 1313 Arrigo VII muore improvvisamente a Buonconvento (Siena). Per ostacolare il passaggio dell’esercito tedesco, diretto verso Borgo San Donnino, tutti i pozzi fino a San Pancrazio sono riempiti di letame, affinché i soldati non possano accamparsi. Fortunatamente le truppe imperiali non arrecano danni al territorio.
La scomparsa di Arrigo indebolisce ulteriormente i ghibellini: per esempio Gabrietto Scorza che teneva il castello di Paderno fa pace con Ghiberto e rinforza il vincolo sposando la nipote del correggese.
Gli ultimi anni (1314-1316)
Ghiberto governa Parma restringendo i consigli, in modo da poter raccogliere nelle sue mani il potere. Dopo anni di guerre, è fortemente sentito il bisogno di pace.
Nel luglio 1314 accade un evento che può favorire accordi tra le parti. In Borgo San Donnino, dove si raccoglievano tutti i fuoriusciti parmensi, scoppia, tra ghibellini e Rossi, rappresentanti della pars Ecclesiae, una rissa nella quale è leggermente ferito Rolando di Guglielmino Rossi. I Rossi abbandonano Borgo San Donnino per ritirarsi a Soragna. La scissione indebolisce gli avversari di Ghiberto che approfitta della situazione per proporre una pace alla parte guelfa e rinsaldare il patto sposando Maddalena, figlia di Guglielmino Rossi. Il giorno 11 agosto la pace è divulgata. Il 15 agosto, festa di Maria Vergine Assunta, protettrice di Parma, mentre si correva lo Scarlatto, e il Correggio stesso col Podestà, circondato da cavalieri, soldati e innumerevole turba di popolo, assisteva al divertimento, entrarono in città i Rossi con tutti i loro seguaci, accolti con manifestazioni di gioia dai cittadini. I rientrati pranzano con Ghiberto, assistono alla corsa e si dà luogo ad ulteriori festeggiamenti. Il 1° settembre successivo sono celebrate le nozze tra Ghiberto e Maddalena; al pranzo partecipano trecento gentildonne delle principali famiglie parmensi.
Il 26 luglio 1315 viene giurata la pace anche con i fuoriusciti parmensi della pars Imperii, i quali rientrano in città il 10 agosto successivo. Nota il cronista che da oltre cinquant’anni non s’era vista la cittadinanza -prossima a celebrare la Madonna d’Agosto- così raccolta tutta quanta in pace entro le mura.
Minacciato all’esterno da Visconti e Della Scala, Ghiberto accetta la signoria di Cremona, mentre a Parma, che ormai riteneva fedele, gli si prepara il tradimento.
Il 25 luglio 1316 si leva in città un improvviso tumulto. Armati girano per la città gridando minacciosi: populus, populus et moriatur dominus Ghibertus de Corigia. Abbandonato da tutti, Ghiberto non osa presentarsi in piazza e con il fido fratello Matteo ripara a Castelnuovo. Orditori della congiura i suoi stessi congiunti: Gianquirico Sanvitale suo genero, Rolando Rossi, fratello di Maddalena, suo cognato, Obizzo da Enzola marito di una consanguinea germana di Ghiberto, Paolo Aldighieri e Bonaccorso Ruggeri suoi cognati.
Ghiberto non riesce a salvare la propria signoria destinata a soccombere davanti alle maggiori, territorialmente più estese, di Visconti e Scaligeri.
Dopo la cacciata di Ghiberto, il potere ritorna nelle mani del Populus e le istituzioni si affrettano a promulgare leggi antimagnatizie, tuttavia Parma in breve tempo avrebbe perso la propria autonomia.
Ghiberto muore a Castelnuovo nel luglio del 1321.
PARTES
Si verifica, in generale un accostamento tra guelfi e ghibellini. Le famiglie badano più al soddisfacimento delle ambizioni personali che alla fedeltà alla parte politica.
Pars antiqua Ecclesiae
raccolti nei i c.d. Quattro mestieri: Beccai, Fabbri, Calzolai, Pellicciai,
Nel 1295, il Populus, capeggiato da Guido da Correggio, Rossi e Lupi, caccia il vescovo Obizzo Sanvitale e la Pars Imperii et Episcopi.
Nel 1305 i Rossi sono confinati; nel 1308, i Beccai impediscono di recare soccorso a Ghiberto.
La fazione è guidata da Rossi e Lupi.
Pars Imperii et Episcopi
Fusione di parti antiche con fondamento nobiliare:
Ghibellini e Guelfi sostenitori del vescovo Obizzo Sanvitale.
Pars Nova
Nel 1303 Ghiberto è super partes.
Dopo la cacciata dei Rossi e il rientro dei Ghibellini, Ghiberto si inimica la Pars antiqua Ecclesiae.
La Pars Nova si incontra dal 1307,
raduna i devoti a Ghiberto.
Guelfi di estrazione popolare
Parma e il suo Comune dopo Ghiberto, Cronologia 1326-1525.
1326: Bernardo del Poggetto è investito del dominio di Parma da papa Giovanni XXIII.
1326 ottobre-1328 settembre: Parma sotto il governo pontificio è retta da Passerino della Torre.
1329, novembre: Ludovico il Bavaro entra in Parma, ne esce il 7 dicembre nominando Marsilio de’ Rossi suo vicario.
1331-1333: Giovanni di Lussemburgo, re di Boemia, è signore di Parma, Rolando Rossi è suo vicario dal 1331 al 1335.
1335-1341: Alberto e Mastino II della Scala (figlio di Beatrice da Correggio) signori di Parma.
1341, 22 maggio: Rivolta popolare. Azzo Simone e Guido da Correggio si impadroniscono della signoria.
1344: Azzo da Correggio vende la signoria a Obizzo d’Este, signore di Ferrara.
1346, 22 settembre: Obizzo d’Este consegna la città a Luchino Visconti.
1447: con la morte del duca Filippo Maria termina il dominio dei Visconti.
1449: Parma si arrende a Francesco Sforza, duca di Milano.
1494: Ludovico il Moro è signore di Parma.
1499: Luigi Trivulzio è governatore di Parma in nome del re di Francia Luigi XII.
1512: Parma è reclamata dallo Stato pontificio.
1515: Dopo la vittoria dei francesi a Marignano, Massimiliano Sforza, figlio del Moro, recupera la città.
1521: Francesco Guicciardini, commissario e governatore, prende possesso della città in nome della Chiesa.
Bibliografia
M. DALL’ACQUA. M. LUCCHESI, Parma città d’oro, E. Albertelli, Parma, 1979.
R. GRECI, Origini, sviluppi e crisi del Comune, in Storia di Parma, vol. III, Parma medievale, T. I, a cura di R. GRECI, Poteri e Istituzioni, MUP, Parma, 2010, pp. 115-167.
S. LEPRAI, La società urbana. Conflitti e strumenti di pacificazione, in Storia di Parma, vol. III, T. 2°, a cura di R. GRECI, Parma medievale, Economia, Società, Memoria, pp. 313-347.
M. MELCHIORRI, Vicende della signoria di Ghiberto da Correggio in Parma, Archivio Storico per le Province Parmensi, n. s. VI (1906), pp. 1-195.
G. MONTECCHI, Correggio, Giberto da, in Dizionario Biografico Treccani.